martedì 15 aprile 2008

Intervista a Giovinco: Voglio tornare alla Juve


Giovinco, nato a Torino da madre di Catanzaro e padre di Palermo: perché Sebastian e non Sebastiano?
«Perché Sebastiano si chiamava mio nonno e alla mamma non piaceva».

Ha compiuto 21 anni il 26 gennaio scorso: lo sa che Fabregas è diventato titolare dell’Arsenal quando ne aveva sì e no diciotto?
«Beato lui».

Altra cultura?
«All’estero hanno più coraggio. Se uno è bravo, è bravo. Punto e basta. Noi siamo più conservatori. Fabregas sostituì Patrick Vieira in persona, mica uno qualunque».

Anche in Italia, però, qualcosa si muove. Acquafresca, Balotelli, Giovinco. O no?
«Sì. La carta d’identità conta sempre più che altrove, ma meno di una volta. Era ora».

Balotelli?
«Ci ho giocato contro nella Primavera. Una forza della natura. E un progetto di campione. Come Acquafresca. Come, mi auguro, il sottoscritto. Saranno però i successi, i trofei conquistati, a segnare il livello delle nostre carriere».

Juventino subito?
«No. Milanista: in casa lo erano tutti. Poi juventino: per scelta e di scuola».

Gli allenatori con i quali si sente in debito?
«Maggiora, Schincaglia, Storgato, Chiarenza».

Uno e sessantaquattro, recita l’almanacco Panini. Conferma?
«Confermo».

L’altezza, appunto. Un problema?
«Sì. Per voi. Giuro: non ci ho mai fatto caso. Né mi condiziona. Penso a Lionel Messi, che è poco più alto di me. Penso a Giuseppe Rossi, a Rosina, a Giuly. Nel calcio, grazie a Dio, la differenza non la fa il fisico».

A ogni gol, e sono già sei, fa sempre quel gesto con le mani, sopra la testa.
«Il gesto della spanna. Una forma originale e divertente, almeno spero, per contestare chi ha fatto della mia “piccolezza” un limite, un bersaglio. “Dite sempre che mi manca una spanna, eccovi serviti”».

Il suo ruolo?
«Più centrocampista che attaccante».

Trequartista?
«Perché no».

Ci fossero ancora i numeri fissi, quale vorrebbe?
«Il dieci».

I suoi modelli?
«I grandi dieci del passato. Roberto Baggio, Diego Maradona, Michel Platini, Alessandro Del Piero. Fantasia e giocate straordinarie. Ho una pila di cassette, mi aiutano a sognare».

A proposito: il suo sogno?
«Sono tre, per la verità. Salvare l’Empoli, tornare alla Juventus, andare alle Olimpiadi».

E se finisse mai nel pacchetto Amauri?
«L’interesse di una società come il Palermo non può che inorgoglirmi, ma nella Juve sono nato e alla Juve vorrei, se possibile, dedicare i migliori anni della mia vita».

Con Del Piero o al posto di Del Piero?
«Detto con profonda umiltà, credo che potremmo giocare tranquillamente assieme».

A Empoli come si trova?
«Alla grande. Per un giovane, è il trampolino di lancio ideale. Se non sbaglio, fu la palestra dei Di Natale e di Montella».

Da Cagni a Malesani ancora a Cagni.
«Se le dico che sono stato bene con tutti, non deve darmi del diplomatico o, peggio, del ruffiano. È la verità».

Che partita, all’Olimpico contro la Roma. Gol, traversa, miracolo di Doni, tiro a fil di palo. Ricorda?
«Malesani mi fece fare il Totti. Punta centrale. Una parte che non avevo mai recitato. Come vede, mi so adeguare».

E con il Parma, domenica scorsa?
«Esterno sinistro di centrocampo in un 4-4-2 abbastanza classico. Più o meno, la posizione di Nedved. Caratteristiche a parte, naturalmente».

Mai segnato di testa?
«Fra i giovanissimi. Una volta o due. Dalla Primavera in su, mai. Di notte, però, dormo lo stesso».

I tifosi stravedono per lei.
«Li ringrazio, di cuore. La Juve titolare l’ho assaggiata in B, con Deschamps. Tre presenze. Contro il Bologna, assist a Trezeguet. Un abbraccio e via. Spero di tornare a casa. Tutto qui».


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