giovedì 5 giugno 2008

Intervista integrale di David Trezeguet rilasciata su Sky: Juventus a vita

Il titolo “Un Signore del gol al servizio di una Signora del calcio”, ti potrebbe piacere?

Io l’ho sempre ribadito, per le mie caratteristiche sono uno che ha sempre avuto bisogno della squadra; quando la squadra gira, per me tutto diventa molto più semplice. Negli gli anni ho avuto la possibilità di giocare con giocatori di un livello straordinario, anche questo mi permette di segnare tantissimo perché per me, l’aiuto dei compagni, è sicuramente molto importante.

Che cosa significa per te il gol?

Sicuramente ho un rapporto molto bello con il gol. Era il mio sogno da piccolo vedere i miei idoli segnare, il pubblico, era una festa. Mi sono fissato da piccolo che se volevo giocare a calcio, dovevo diventare un attaccante, perché era il posto che mi piaceva di più.

Chi erano i tuoi idoli?

Sono cresciuto con l’immagine di Maradona, i miei primi ricordi sono stati i Mondiali ’86 in Messico, però devo dire che per il mio posto sicuramente è stato Batistuta quello che mi piaceva di più, perché era un attaccante molto forte, aveva l’immagine del giocatore bello da vedere. Parlando calcisticamente, la cosa più bella che mi è capitata è stato ritrovarlo, lui nella Roma e io nella Juve, è stato un momento bello da ricordare perché negli anni passati stavo a guardarlo davanti alla tv e poi mi sono ritrovato a giocare contro di lui e riuscire a vincere lo Scudetto, lui con la Roma e io con la Juve. È stato un ricordo molto bello.

Ci racconti i pochi istanti tra il momento in cui l’attaccante tira e quello in cui la palla entra in rete?

Io, per le mie caratteristiche, sono un giocatore più d’area, non sono uno che magari porta palla e può fare un gol da lontano. Anche in allenamento mi piace lavorare davanti alla porta. Oggi a 30 anni ho gli stessi stimoli di quando ne avevo 8. Noi siamo magari quegli attaccanti un po’ fissati sui gol e proviamo con qualche movimento a mettere in difficoltà i difensori, penso che sia qualcosa che abbiamo dentro, mi sembra un po’ difficile da spiegare ma dicono che gli attaccanti che segnano ce l’hanno dentro. Personalmente lavoro moltissimo in questo senso, provo ad approfittare di qualsiasi errore dei difensori. Con il tempo questa fiducia nei miei confronti è stata pagata.

Arrivi in Francia a 18 anni e fai subito un provino con il Paris Saint Germain: com’è andato?

A livello calcistico molto bene perché ho trovato un grandissimo allenatore, Luis Fernandez, che voleva che rimanessi con loro, però questa squadra aveva una mentalità un po’ diversa rispetto ai ragazzi che avevano 15-17 anni. L’unica cosa che volevo, era portarmi con me i miei genitori e mia sorella, perché facevano parte della mia vita, questa squadra non l’ha capito perché non erano abituati al fatto che i giocatori venissero con le famiglie ed è stato per questo motivo che non ho firmato per il PSG.
Invece al Monaco c’era Wenger…
No, questa storia devo chiarirla perché mi sembra che molta gente ha capito che quello che mi ha scoperto al Monaco è stato Wenger, invece non è così perché, quando sono arrivato al Monaco, Wenger non c’era più. È stato Jean Tigana e ritrovarmelo come allenatore è stato un onore per me. Era uno a cui piaceva il bel calcio e io mi sono adattato subito al suo sistema di gioco, alla sua mentalità. Al Monaco, però, avevo 17-18 anni, mi allenavo con la prima squadra e poi magari al sabato andavo in panchina con la prima squadra e la domenica tornavo a giocare con la Primavera.

Nel ‘98 arriva la convocazione per il Mondiale…

Prima ho fatto il mio esordio contro la Spagna, sono entrato 20 minuti. In 8 mesi sono rientrato anche tra i convocati della Nazionale dei Mondiali ’98. E’ stata dura fino alla fine perché la lista era composta da 28 giocatori e poi 5 non sono stati scelti dal Mister. Un colpo duro per quelli che sono andati via, penso che non sia semplice per nessuno. Ho fatto parte di quel gruppo che ha fatto la storia: il Mondiale vinto in Francia, dopo la finale vedere 2 milioni di persone tutte insieme, senza dimenticarci che la Francia è un posto più particolare, a livello di razzismo, e veder tutti uniti penso sia stata una grandissima vittoria per tutta la Francia.

Gli Europei del 2000.

Sicuramente, rispetto ai Mondiali ’98, ho giocato molto meno di quello che mi aspettavo e alla fine ho dato il mio contributo durante la finale.
La rete contro l’Italia è stata la più importante della mia carriera.

Nel tuo primo anno alla Juve: 14 gol e un infortunio. Ti aspettavi di più?

Non è che mi aspettassi di più, ho iniziato sapendo che quelli davanti a me erano i titolari. Purtroppo quell’anno siamo stati eliminati subito dalla Coppa Italia e dalla Champions League. Prima dell’infortunio avevo realizzato 7 gol in 10 partite, poi, quando sono rientrato sentivo che avevo perso questa fiducia nei miei confronti. Dopo la partita con la Roma, in cui abbiamo praticamente perso lo Scudetto, sono cambiate le cose in maniera positiva per me e per la squadra.

È vero che in quel periodo avevi chiesto di andare via e l’Inter era disposta a prenderti?

Quello è successo alla fine del campionato, avevo una grandissima possibilità di andare al Liverpool, perché l’allenatore di quel periodo mi aveva visto nel settore giovanile della Nazionale e mi voleva a tutti i costi. Io volevo giocare perché avevo 21 anni ed ero diventato la quarta scelta, non giocavo quasi mai. Ho avuto un colloquio con Ancelotti che mi ha detto di avere pazienza e di continuare a lavorare come stavo facendo perché lui aveva fiducia in me. Nelle ultime 5 partite sono riuscito a realizzare 7 gol, è stata la mia prima rivincita nel campionato italiano. Ho finito bene, ho finito come volevo io.

Il secondo anno alla Juve: Lippi e lo Scudetto del 5 maggio

Nella stagione successiva Ancelotti è andato via ed è arrivato Lippi, che era l’idolo dei tifosi, perché aveva vinto tutto quello che c’era da vincere. Si è iniziato a dire che lui voleva Vieri, che l’Inter voleva fare uno scambio Vieri-Trezeguet. Io volevo rimanere perché avevo dimostrato di poter giocare in questa Juve. Lippi mi ha dato una grandissima fiducia, perché per un attaccante è fondamentale avere la fiducia dell’allenatore. Questa è stata la mia seconda rivincita, abbiamo vinto lo Scudetto, io sono stato capocannoniere della squadra e del campionato. Io e Lippi avevamo fatto una scommessa: se avessi fatto più di 15 gol, avrei dovuto fargli un regalo, e al contrario, l’avrebbe fatto lui a me perché avrebbe significato che la squadra non aveva giocato per me. Negli anni che ho fatto con lui il regalo gliel’ho sempre fatto io. Vincere lo Scudetto all’ultima giornata per noi è stato molto bello perché ho iniziato a capire la rivalità verso l’Inter, il primo anno non mi ero reso conto, il secondo sì, abbiamo fatto un grandissimo campionato, così come l’Inter, siamo consapevoli che quel campionato l’ha perso l’Inter, però noi abbiamo fatto un campionato strepitoso. Ci fu una prima parte di campionato difficile per noi in cui il gioco non era quello che voleva il mister. Quell’anno andò via il giocatore più importante della Juve che era Zidane, da lui passavano tutti i palloni. Sono arrivati Nedved, Buffon, Thuram, Salas, e il mister aveva il compito di mettere insieme una squadra nuova. Quell’ultima giornata è da ricordare, la Lazio ha fatto il suo compito e noi abbiamo fatto una bellissima vittoria a Udine. È stato lo scudetto più bello.

Nella stagione successiva due gol in semifinale di Champions contro il Real Madrid?

Li ricordo tra i più belli della mia carriera, per la bellezza, e poi perché il Real Madrid è sempre stata la squadra da battere. Avevamo davanti a noi giocatori come Figo, Ronaldo, Zidane e noi, con le nostre armi, siamo riusciti a fare due partite di un livello straordinario, ho avuto la possibilità di segnare sia all’andata che al ritorno e per questo, quella col Real, rimane una delle più belle partite della mia carriera.

Quanto desideravate quella Coppa nella finale di Manchester contro il Milan?

Tantissimo, era quello che ci chiedevano tutti i tifosi, è il mio più grosso rammarico fino ad oggi. Mentalmente mi sono detto “Ritornerò a giocare una finale”. In realtà non ci sono più tornato e con il tempo sta diventando un peso perché la Champions è la competizione più bella, in cui giocano le squadre più forti. Abbiamo vinto il campionato con quasi 20 punti in più del Milan e non è vero che il Milan aveva più fame di noi, il Milan non meritava più di noi. Purtroppo i rigori sono una questione anche di fortuna. Io ho tirato, ho sbagliato e mi sono preso le mie responsabilità, ma quello penso che faccia parte del calcio. Ho più rammarico di avere sbagliato questo rigore rispetto a quello del Mondiale perché questa squadra la sento mia, sono qui da 8 anni, ho vissuto i momenti più belli e più brutti di questa società e quindi, spero di poter arrivare a disputare un’altra finale di Champions. E se ci sarà un rigore, lo tirerò di nuovo perché per me sarà una rivincita.

Nella stagione 2004/2005 stavi per andare al Barcellona?

La società in quel momento aveva fatto le sue scelte e non facevo parte di quel progetto. È arrivato il Barcellona e con loro mi sono accordato subito perché è una delle squadre più forti del mondo. Poi Capello mi ha chiamato e mi ha chiesto i motivi per cui stavo per andare via, mi sono spiegato con lui e mi ha chiesto di rimanere perché aveva fiducia in me. In 5 minuti ci siamo messi d’accordo. Poter lavorare con lui per me era un’esperienza molto bella, perchè è un altro allenatore che ha vinto tutto, come Lippi. Penso che quella Juve, e quella dell’anno successivo, siano state le più forti degli ultimi 15 anni.

L’anno dopo sei diventato il miglior marcatore di sempre nella storia della Juve. Come ti fa sentire questo?
Ancora non mi sono reso conto, penso che questi ricordi li rivivrò quando smetterò di giocare. E’
qualcosa che non mi potrò mai dimenticare.

Poi arrivano i Mondiali del 2006: con Domenech non c’è mai stato feeling?

Io e lui guardiamo il calcio in modo diverso, con la Nazionale non ho più niente da dimostrare, penso di aver dimostrato di meritare la convocazione. Ho vissuto un Mondiale molto difficile, perché erano sempre gli stessi undici che giocavano sempre, e gli altri erano da parte. Io ho la visione di gruppo diversa: se un gruppo è composto da 23 giocatori, l’allenatore deve stare più attento a quelli che non giocano. E in Germania non era così. Credo che questa sia stata la forza dell’Italia, era un gruppo molto unito, l’Italia del 2006 era come la Francia del 2000, quando la forza era determinata da tutti e 23 i giocatori.

Francia-Corea: sei entrato a tre minuti dalla fine e hai indossato la fascia da capitano…

L’ho vissuta come una mancanza di rispetto nei miei confronti, però, allo stesso tempo, anche se avessi dovuto giocare per un solo minuto, per i miei compagni e per me stesso, vestire la maglia della Nazionale è sempre stato un onore.

L’errore dal dischetto ai Mondiali del 2006?

Dispiaciuto per i miei compagni. Personalmente, niente di più e niente di meno. E’ stato per me un Mondiale negativo dall’inizio alla fine. Ero dispiaciuto per quei giocatori che erano sempre in campo. Non ho mai sentito la fiducia nei miei confronti, e in campo si è anche visto, però sono rimasto sempre tranquillo perché ho sempre dato il massimo per la Nazionale.

Perso il Mondiale, in Italia vengono tolti due Scudetti alla Juve, che finisce in B. Decidi di restare in bianconero, però, con poche motivazioni…

Le motivazioni erano poche per me come per gli altri, per la società stessa e per i tifosi. Nessuno meritava di disputare un campionato di Serie B. Però, ci siamo trovati in quella situazione, calcisticamente non è stata un’esperienza né positiva , né negativa. Ci siamo ritrovati dei giovani che l’anno prima erano in Primavera. Abbiamo creato un gruppo molto più umano perché le aspettative erano diverse, la cosa positiva è che siamo risaliti subito in Serie A.

Hai iniziato l’ultima stagione con una tripletta…

E’ stata una bellissima partita per tutti, per me, per i tifosi, c’era una voglia di rivincita.

A Roma hai siglato il 100° gol in Serie A con la Juve…

E’ stata una delle cose più belle che mi siano capitate in questa squadra. Anche il gol contro l’Inter. E’ cambiata un po’ la storia. Gli anni scorsi era l’Inter che aspettava la partita contro la Juve, quest’anno eravamo noi ad aspettare quella contro di loro. Abbiamo dimostrato che siamo vivi e che siamo una delle squadre più forti.

Pensi di chiudere la carriera con la maglia bianconera?

Ho prolungato il rapporto con la società fino al 2011. Spero di poter chiudere la mia carriera con questa maglia.


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